Affidavo all’aria i miei pensieri

Andrea LuccioliBy Andrea Luccioli|In Ascoltare|8 Minuti

Si congedava così, con il suo ultimo brano “Morirò d’amore”, Giuni Russo. A sedici anni dalla sua scomparsa, la cantante siciliana resta ancora oggi il più grande esempio di come la libertà, non solo artistica, si possa trasformare in una dolorosa gabbia fatta di pregiudizi e incapacità di capire l’altro.
Soprattutto quando l’altro è una creatura fatta di energia, curiosità e rabbia.

La vita di Giuseppa Romeo, in arte Giuni Russo, è stata una battaglia continua contro l’omologazione, le case discografiche, le invidie e i pregiudizi. E infine contro una malattia che l’ha portata via a 53 anni dopo 12 album (due postumi), diverse raccolte e 4 live. Una produzione musicale, la sua, vasta, sperimentale e assolutamente imprevedibile. Eppure, nonostante abbia realizzato dischi new wave, elettronici, di lirica, world music, crossover e jazz, tutti ci ritroviamo a ricordare la sua carriera per alcuni singoli estivi decisamente “pop” come “Alghero” o “Un’estate al mare”. Gli inglesi direbbero a twist of fate, uno scherzo del destino.
Come lo è stata tutta la sua vita, in fondo.

Eppure, in questi anni Duemila fatti di autotune, dischi prodotti come cibo in scatola, talent e pseudo artisti che durano lo spazio di un tramonto prima di finire nel tritacarne, Giuni potrebbe e dovrebbe rappresentare un faro, una guida cui tendere. Invece resta soprattutto l’esempio di come la vena artistica sia un coltello affilato. Senza manico.

Serve un passo indietro. Chi è Giuni? Un’artista con un’estensione vocale praticamente illimitata, una che ha avuto la “fortuna” di essersi trovata compagni di viaggio enormi (citiamo Alberto Radius e Franco Battiato solo per dirne due) e con un’assoluta predisposizione ad uscire dagli schemi per cercare di superare il limite, sperimentare, lasciare libera la propria creatività.
Nella musica, ma anche nella vita reale.
Davvero troppo per un mondo, quello della musica e dell’industria musicale in generale, che non l’ha mai saputa capire.

La storia ce lo racconta. Alla fine degli anni ’70 Giuni Russo – dopo anni di successi discografici quasi trascurabili – sta per mollare la musica, per arrendersi. Ma è in questo momento che compare Alberto Radius che la presenta a Franco Battiato. La svolta. Il sodalizio ingrana piano piano, sia a livello artistico che umano. I due diventano amici e lo resteranno sempre. Battiato riesce a valorizzare le doti canore di Russo, scrive per lei diverso materiale e insieme vanno a bussare alla porta di Caterina Caselli che decide di metterla sotto contratto per cinque album con la sua CGD.

Il primo album che viene pubblicato insieme è quell’inaspettato capolavoro che è “Energie”. Avantgarde pop, qualcosa proiettato anni luce avanti: puro genio artistico. Ma anche ottimi riscontri commerciali che saranno però l’anticamera della tempesta. Russo, infatti, è sempre stata una sperimentatrice, un’artista che ha rivendicato la sua libertà espressiva. Caterina Caselli, dal canto suo, vedeva in lei invece una popstar con cui fare cassa.
Lo scontro, a conti fatti, è dietro l’angolo.

Il primo vero terreno di battaglia è il successivo album, “Vox” uscito nel 1983. Un altro disco sperimentale in cui si alternano momenti stralunati ad altri dolci, delicati. Compaiono chiari anche i riferimenti all’omosessualità e una sensualità strisciante: quest’ultima è a tutti gli effetti anche la cifra della sua immensa voce.

Sono questi gli anni in cui Giuni inizia a combattere per le sue scelte di vita. Tutti sanno che Maria Antonietta Sisini, sua paroliera e manager, è anche la sua compagna. Un legame sentimentale che negli ’80, in Italia, è visto con grande sospetto.

Per avere a che fare con un Paese bigotto serve coraggio, ma la cantante questo lo ha capito da tempo

Così il successivo disco, “Mediterranea”, zeppo di suoni digitali e riferimenti in chiave gay, diventa un modo per alzare l’asticella ulteriormente. Troppo per Caselli e la CGD.

La rottura con l’etichetta fa rumore. Un episodio passato alla storia soprattutto per le clausole inserite dai legali della casa discografica nella liberatoria per stracciare il contratto: oltre all’esplicita dichiarazione in cui si spiega che l’etichetta non avrebbe avuto più nulla a che fare con Russo, viene inserita la descrizione della cantante come un’artista ingestibile. Una vendetta infilata in calce per impensierire eventuali nuove case discografiche dal metterla sotto contratto.

Un colpo duro per Russo, da cui comunque si risolleva. Come Mia Martini, finita nel mirino senza pietà dell’ambiente musicale, Giuni ricomincia la sua carriera da capo: lo fa trovando la Bubble, un’etichetta indipendente che le lascia carta bianca nella scrittura della musica. Lei se ne esce con una mossa da guerriera: sceglie di combattere le major con i loro stessi strumenti, ovvero le hit estive. Arriva così “Alghero”, successo pop dell’estate 1986 che da solo è sufficiente a trainare l’interno disco.

Siamo alla fine degli anni ’80. Periodo che ci proietta un’artista che sceglie nuove sperimentazioni, mentre all’orizzonte comincia a emergere un altro aspetto di Russo: la sua spiritualità. Si avvicina infatti al cattolicesimo e resta colpita da alcune figure delle carmelitane scalze.

Gli anni ’90 sono difficili per Giuni, il mondo della musica continua a osteggiarla,

un'eretica musicale da scacciare e abbandonare ai suoi presunti deliri mistici

Esce poco materiale discografico, l’ostracismo nei suoi confronti la rinchiude in una sorta di oblio. Tutto cambia per lei, nuovamente, nel 1999, con la scoperta del cancro. Il periodo più doloroso della sua vita che si scioglie in una nuova presa di coscienza e un’inaspettata voglia di ripartire. Giuni torna anche in tv all’interno di “Cocktail d’amore” di Amanda Lear. Nel 2003 riesce a portare a Sanremo il suo “testamento artistico”, la canzone “Morirò d’amore”. Testa rasata e bandana, così si presenta sul palco dell’Ariston.

La carriera musicale riparte: escono compilation e spuntano collaborazioni. Ma il tempo scorre inesorabile, come la malattia. Giuni Russo muore il 13 settembre del 2004.

Cosa resta di lei? Tantissimo. Musicalmente la sua discografia andrebbe approfondita e studiata tutta tanto è ricca e attuale. La sua figura controversa, che non si è mai arresa alle difficoltà, per certi versi fa invece ancora paura. Nonostante gli annunci ufficiali, ad esempio, la sua città natale, Palermo, non è ancora riuscita a dedicarle una via. Cosa che pare stia per accadere a Catania.
La verità è che la vita di Giuni Russo è stata un continuo inno alla libertà. Ma noi, a quanto pare non siamo ancora pronti a capirlo.