Diabolik non ruba il cuore degli spettatori

Dalle sorelle Giussani ai fratelli Manetti

Andrea FioravantiBy Andrea Fioravanti|In Vedere|11 Minuti

C’era tanta attesa per questa nuova trasposizione cinematografica di Diabolik uno dei monumenti del fumetto nazionale, ma più in generale della cultura italiana. Un cinecomic ispirato al famoso Albo numero 3 delle sorelle Giussani uscito nel marzo del 1963 dal titolo emblematico: “L’arresto di Diabolik”. L’uscita nelle sale del film dei Manetti Bros., prevista per la scorsa stagione e poi spostata al 2021 a causa delle misure di sicurezza legate alla pandemia, ha dato vita a qualche polemica preventiva.

Diabolik è un film che parla principalmente romano.

Sono romani i registi, gli attori che interpretano il criminale (Luca Marinelli), l’ispettore Ginko (Valerio Mastandrea), anche la romana Claudia Gerini è nel cast. L’annuncio del cast ha fatto storcere il naso a molti dei fan duri e puri del fumetto. Questa romanità manifesta era un fucile puntato sul film da parte dei più sciocchi. Col senno di poi forse non così sciocchi. Effettivamente in questa nuova versione cinematografica di Diabolik tutto sembra maldestro e disequilibrato sin dall’introduzione, un inseguimento tra le vie di Clerville (Bologna) a bordo dell’iconica Jaguar. Dalla regia al montaggio passando per l’accompagnamento musicale, assistiamo ad una serie di scelte infelici che testimoniano sin da subito l’incapacità nel mettere in scena situazioni action che non siano goffe, fiacche e dunque anche ridicole.

La fedeltà al fumetto, a partire da una narrazione condotta con i tempi ed i ritmi delle tavole, sembra essere l’unica regola seguita.

Questo che molti hanno visto come un valore aggiunto è in realtà la matrice di tutti i malintesi. Ciò che sulle pagine funziona attraverso l’ausilio della immaginazione performativa del lettore tra una tavola e l’altra, qui viene mostrato con una lentezza ed un didascalismo esasperante. Sia chiaro, i Manetti non mancano in nulla di particolare, illustrano il fumetto con maniacale puntualità: costumi, pettinature, ambientazioni, effetti vintage suggestivi, interpreti accattivanti. Ma appunto illustrano, filmano il fumetto. Non fanno cinema. Trasformano la feroce determinatezza di Diabolik, la seducente spietatezza di Eva Kant, il titanismo tragico di Ginko in dramma da operetta, a voler essere cattivi si potrebbe dire in fotoromanzo. È qui che risiede la radice di ogni male. Le vere trasposizioni rispettano l’originale quando ne carpiscono l’essenza e la riproducono attraverso il dispositivo scelto senza limitarsi ad una fedeltà superficiale, di facciata:

«Molti discorsi sull’adattamento, anche se non sempre i più qualificati, si fondano sul luogo comune secondo cui una trasposizione deve essere innanzi tutto una rispettosa audiovisualizzazione del testo […] l’adattamento va pensato come un nuovo progetto che può scegliere sì il partito della fedeltà (anche se una fedeltà assoluta nel passaggio da un medium all’altro, da un’opera scritta in particolare ad una audiovisiva non può esistere) ma che comunque reinventa il testo adattato privilegiandone alcuni aspetti anziché altri variandone componenti diegetiche, tematiche, narrative, proponendone in sostanza una rilettura fedele in un senso più intenso» (Letteratura e Cinema di S. Cortellazzo – D. Tomasi)

La solidità di una materia come le storie a fumetto di Diabolik imponevano una riflessione più compiuta rispetto alla univocità della scelta. Tanto più se comparata con la brillantezza sbarazzina cui ci hanno abituato i Manetti Bros

In questi anni e che davvero possiamo considerare la loro forza. Si è sempre detto che i Manetti sono più adatti alla parodia, alla leggerezza, sanno rielaborare uno stile piuttosto che farlo direttamente (il poliziesco ed il noir soprattutto). Impietoso il giudizio critico che segue:

«I Manetti Bros. sono sicuramente detentori di una grande cultura cinematografica […] eppure il loro approccio a Diabolik sembra essere quello di un filmaker spaesato che non conosce la grammatica della messa in scena, la costruzione del pathos e il senso del ritmo. Si, perché anche se fa male affermarlo, il Diabolik dei Manetti Bros. è un elettrocardiogramma piatto, un film che non riesce a dialogare in nessun modo con lo spettatore a causa di una serie di scelte sbagliate, sbagliatissime, pronte a dimostrare sì la loro conoscenza dell’opera delle Giussani ma anche la loro inadeguatezza nei confronti di un genere – il crime misto all’action – che dovrebbe catturare lo spettatore sin dal primo minuto, senza mollarlo mai»

(G, Ristori, Diabolik, quel re del terrore che non spaventa nessuno,)

 

Non siamo i soli e non siamo pochi ad aver sottolineato questa pessima concezione di messa in scena.

Qualche dubbio sulla bontà dell’opera, nonostante il notevolissimo impianto produttivo, era sorto già da tempo e a far storcere subito il naso ci aveva pensato proprio la scelta del protagonista, Luca Marinelli, un errore di assegnazione incredibile (il più classico dei miscasting) che denota l’incapacità del nostro attuale sistema produttivo ad assegnare ruoli con cognizione di causa. Certo abbiamo ben presente i limiti e le criticità nella poca libertà di scelta degli attori, ridotti sempre agli stessi nomi. Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Luca Marinelli Tony Servillo hanno rappresentato tutti i personaggi importanti della storia del nostro Paese (papi, poeti, santi, cantautori, politici, scrittori, rivoluzionari), una cosa che, al di là degli ottimi risultati finisce per apparire un po’ comica.
Ma se lavorando poco e male, in fondo Luca Marinelli un po’ tiene il ruolo, cioè trasforma quel tono asettico in un personaggio, in una specie di Diabolik impersonale, lontano da ogni passione, il fatto che anche gli altri personaggi recitino così uccide ogni possibile residuo di ritmo. Il film a ben vedere avrebbe dovuto chiamarsi Lady Kant; Eva, in effetti, è la vera protagonista del film e Miriam Leone è forse l’unica a dare profondità, anima ed eros al gruppo dei protagonisti.
Drammatica, nel senso non letterale purtroppo, è la performance di Valerio Mastandrea nei pani dell’ispettore Ginko, imbolsito e ridotto a macchietta di poliziotto tutto d’un pezzo che fuma la pipa.

«Alle prese con un personaggio ben collocato in un preciso immaginario e costretto a recitare in dizione perfetta, Mastandrea mette in luce molti suoi limiti dimostrando che quando si esce dalla comfort-zone della parlata romana tutto diventa più difficile. E questo è un problema di pigrizia che attanaglia molti attori italiani, non solo Mastandrea»[3]. L’apporto dato da Serena Rossi che interpreta Elisabeth, la moglie di Walter Dorian, e Alessandro Roja nei panni del vice-ministro Caron, è quello dell’effetto “sceneggiato Rai” anni 70, a testimonianza della volontà di portare il film a livello della “fiction tv” di prima serata, quella di qualità s’intende, quella de L’ispettore Coliandro

«Anche la commedia attinge sempre alla solita compagnia di giro composta da Marco Giallini, Alessandro Gassman, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Edoardo Leo, Stefano Fresi, Paola Cortellesi e i soliti altri noti». (A. Fioravanti, Il cinema italiano è libero? Più dei suoi spettatori, Caffè Moda Rinaldi Magazine, dicembre 2021. https://caffemodarinaldimagazine.com/il-cinema-italiano-e-libero/)

In sostanza è davvero un peccato che nel cercare di essere fedeli alla lettera agli abiti, le auto, ai gadget da 007 d'annata e alle atmosfere da noir «i Manetti abbiano sostanzialmente tralasciato tutto il resto. La sceneggiatura è totalmente schiava di una dimensione visiva fredda […] e la regia è forse il tassello finale di quello che non si può non definire un fallimento cinematografico pieno e senza appello. Senza brio, senza dinamismo, incatenata ad una classicità che diventa pesantezza, in men che non si dica priva ogni singola scena non solo della credibilità ma anche di energia e capacità di stupire»

Operazione Diabolik

Per ciò che riguarda il film dei Manetti il discorso interessante è quasi esclusivamente extra filmico legato all’operazione Diabolik nel suo complesso. La forza di Rai Cinema e il beneplacito di Mario Gomboli (fumettista, sceneggiatore, illustratore ed editore del fumetto Diabolik) hanno mostrato sin da subito come fosse in atto un’operazione senza precedenti.  La colonna sonora affidata a Manuel Agnelli, la sapiente strategia dei rinvii, delle attese, delle dichiarazioni in pubblico e non da ultimo lo sfruttamento dell’aurea autoriale indiscutibile legata a Diabolik, hanno permesso che l’uscita del film si trasformasse in un evento. L’annuncio dato in pompa magna della “trilogia”, la già citata mastodontica strategia di marketing, ed il numero delle copie (oltre 500) la dice lunga sull’investimento per quello che di fatto è il primo vero cinecomic moderno partorito dall’industria cinematografica italiana.

Ma, aldilà dell'apparato comunicativo, il cinema in questo caso si riduce a ben poco.

Revisione a cura di Promise Edoziogor