Rubrica

Su di giri storie di vinili

Talk Talk, The Colour of Spring

Aldo CanaliBy Aldo Canali|In Ascoltare|13 Minuti

Come possiamo sperare di salvarci in ciò che è più fragile? È possibile sfuggire alla rete di costrizioni che avvolge la nostra esistenza? Se lo chiedeva Italo Calvino nella prima delle sue Lezioni Americane dedicata al tema della leggerezza, cercando ispirazione negli esempi più alti della letteratura e trovando una qualche risposta nella poesia Piccolo Testamento di Eugenio Montale: possiamo salvarci rivendicando la nostra coerenza personale, facendo professione di fede nella persistenza di ciò che più sembra destinato a perire.

Cosa ha a che fare tutto questo con i Talk Talk, vi chiederete? Un primo indizio sono le farfalle della copertina di The Colour Of Spring, l’album che nel 1986 ha segnato un punto di non ritorno per il gruppo di Mark Hollis dando il via ad una delle svolte stilistiche più incredibili e coraggiose nella storia della musica pop, una vera e propria metamorfosi di cui è stato possibile comprendere la vera portata solo dopo anni, a cose fatte, quando tutto era ormai finito. Cosa c’è di più delicato ed effimero di una farfalla, che dopo una vita da bruco rinasce in primavera ed impara a volare per vivere un solo giorno?

Come un bruco, che muta in crisalide e poi diventa farfalla, Talk Talk dopo aver inseguito il successo decisero consapevolmente di liberarsi dalle convenzioni del pop da classifica e diventare qualcos’altro

ponendosi drammaticamente in anticipo sui tempi e facendosi pionieri di un genere che a distanza di anni prenderà il nome di post-rock, ispirando gruppi come Radiohead, Mogwai e Sigur Ros.

I Talk Talk sono un essenzialmente un trio che si forma a Londra all’inizio degli anni ‘80, composto e da Mark Hollis (voce e chitarra), Paul Webb (basso) e Lee Harris (batteria), con l’aggiunta di vari turnisti, tra i quali Simon Brenner e soprattutto Tim Friese-Greene, che nella seconda parte di questa vicenda assumerà un ruolo decisivo a supporto della svolta stilistica intrapresa dal gruppo. Dopo alcuni demo incisi per la Island i Talk Talk colgono la prima vera occasione con la EMI, con la quale incidono i primi due album, The Party’s Over nell’82 e It’s My Life nell’84. All’inizio giocano la carta del sinth-pop, con tutto il corredo di batterie elettroniche e sintetizzatori tipici del sound in voga all’epoca, sotto il quale però si percepisce fin da subito un piglio molto diverso da quello dei gruppi à la page, meno stiloso e decisamente più introspettivo, a tratti perfino straniante. La stessa immagine del gruppo, emaciata e scontrosa è lontana anni luce dal glamour di gruppi come i Duran Duran.

Il cantante e leader del gruppo Mark Hollis che nel video di Such A Shame si agita con uno zuccotto di lana calcato sulle orecchie a sventola, è l’anti-divo per eccellenza, altro che Simon Le Bon.

Chi oggi nei primi anni ’80 era adolescente sicuramente si ricorderà di Such A Shame, brano che scalò le classifiche europee e che divenne molto noto in Italia per essere stato utilizzato per un celebre spot pubblicitario della Peugeot 205.

Ma come si dice, una rondine non fa primavera. La vita era dura nel 1984, per chi aveva scelto di sgomitare nel pop-rock, basti pensare che la top ten era uno strapuntino affollato da star americane del calibro di Prince, Tina Turner, Michael Jackson, Bruce Springsteen e Madonna, con incursioni di outsider europei come Queen, Eurythmics, Duran Duran, Depeche Mode e Frankie Goes To Hollywood, tanto per dirne alcuni. La stagione d’oro del sinth-pop dopo la sbornia commerciale oltretutto volgeva al termine, per sopravvivere bisognava evolvere in qualcos’altro. I Talk Talk dopo i primi due album fanno quadrato, capiscono che se non vogliono finire tra i tanti gruppi meteora è arrivato il momento di spiccare il volo.

Ci riescono nel 1986 con The Colour Of Spring, un album nel quale inscenano una clamorosa transizione, dando vita ad uno stile autonomo, in perfetto equilibrio tra pop commerciale e sperimentazione.

In continuità con i primi due album la splendida copertina è affidata a Jim Marsh, artista designer celebre per le sue illustrazioni di farfalle, uccelli e altri animali immaginari ispirate ai cataloghi naturalistici dell’Ottocento.

Che musicalmente qualcosa è cambiato e siamo di fronte ad un nuovo corso lo si capisce subito, fin dal primo brano. Happiness Is Easy apre le danze con un trionfo di suoni, arrangiamenti e percussioni, dove spiccano pianoforte, contrabbasso, chitarra acustica, organo, tromba e, dulcis in fundo, l’Ambrosia Choir di Londra e il coro dei ragazzi della scuola di Miss Speake.

L’intero l’album è un susseguirsi di brani dallo stile musicale evoluto e raffinato, a tratti energico ed irrequieto, come ad esempio Life’s What You Make It (singolo di lancio presentato a Sanremo) e Living In Another World, oppure melanconico e sognante come I Don’t Believe In You e April 5th. Colpisce la straordinaria schiera di musicisti chiamata a dare manforte al gruppo, tra i quali brillano Steve Winwood all’organo, David Rhodes alla chitarra e il fidato Tim Friese-Greene al piano, alle tastiere e ai sintetizzatori, quest’ultimo impegnato anche in veste di produttore. Spinto dal discreto successo del disco precedente The Colour Of Spring ha un ottimo riscontro, raggiunge le 2 milioni di copie e diventa l’album più venduto dei Talk Talk.

A quel punto la EMI si frega le mani e dà loro carta bianca. La band e Tim Friese-Greene nel febbraio del 1987 si chiudono nei Wessex Sound Studios, allestiti in un ex chiesa di Londra e nel marzo del 1988, dopo aver sforato ampiamente i tempi e il budget previsti, finalmente finiscono di registrare il nuovo album che prende il nome di Spirit Of Eden. L’album è uno shock che spiazza la EMI e la getta nel dramma. La transizione tra il pop e la sperimentazione di The Colour Of Spring, che aveva fatto intravedere nuovi e promettenti spazi commerciali, lascia il posto a una forma musicale completamente inedita, sospesa tra progressive rock, jazz e ambient. I sei brani che compongono l’album hanno abbandonato del tutto il formato canzone, privi come sono di qualsiasi riferimento o appiglio che assomigli ad una strofa, ad una rima e tantomeno ad un ritornello e suonano come una catarsi musicale che trascende ogni genere.

Per comprendere l’ambizione che sostenne il progetto visionario del gruppo basti pensare che l’album fu costruito a partire da centinaia di ore di sessioni, impegnando un cast di diciassette musicisti ai quali Hollis e Friese-Greene chiesero di improvvisare, spesso nel buio più totale, senza ascoltare la musica che stavano suonando.

La storia racconta che al primo ascolto di Spirit Of  Eden il manager della EMI che curava le relazioni con il gruppo pianse, non tanto per la bellezza dell’album, ma perché comprese che non avrebbe venduto.

Leggenda o verità, la EMI giudicò il lavoro commercialmente inadeguato e chiese al gruppo di registrare nuovo materiale, ottenendo per tutta risposta il netto rifiuto di Hollis. La vicenda avrà pure uno strascico giudiziario e diventerà un caso emblematico, tanto che negli anni a venire alcune major penseranno bene di inserire nei contratti apposite clausole per svincolarsi dagli obblighi di distribuzione di prodotti ritenuti non validi dal punto di vista commerciale.

Il mondo che aspettava i Talk Talk al varco non è pronto per la rivoluzione di Spirit Of Eden.

L’album non ha una hit che lo possa trainare, non è ballabile, non è cantabile e soprattutto è lontano anni luce da tutto quello che il pubblico è abituato ad ascoltare in quel momento. Come se non bastasse, Hollis e Friese-Greene da veri kamikaze decidono di non impegnarsi in alcun video o concerto per promuovere l’album, che con “appena” 500 mila copie si dimostra un flop commerciale.

Come ha ricordato una volta Friese-Greene,

“Ricordo di essermi seduto in un pub in fondo alla strada.., discutendo di come pensavamo di aver rotto gli schemi e di poter cambiare le sorti della storia. Sfortunatamente ci sbagliavamo di grosso”.

Dopo il tonfo i Talk Talk si separano dalla EMI e passano alla Polydor, con la quale nel 1991 dando continuità allo stile inaugurato da Spirit Of Eden pubblicheranno Laughing Stock, il loro ultimo album capolavoro e testamento, per sciogliersi di lì a poco.

Mark Hollis nel 1998 inciderà il suo ultimo album come solista per poi scomparire definitivamente dalla scena ritirandosi a vita privata. Tornerà suo malgrado a far parlare di sé dopo anni di oblio il 25 febbraio del 2019, giorno della sua morte.

Chi è interessato a riscoprire l’incredibile vicenda umana e artistica dei Talk Talk può ripartire da The Colour Of Spring, l’album della svolta stupefacente che a distanza di trentacinque anni dalla sua pubblicazione ha conservato intatta tutta la magia creativa dalla quale sono poi sono scaturiti i capolavori Spirit Of Eden e Laughing Stock.

Oggi Mark Hollis è universalmente considerato uno degli autori più influenti degli anni ’80. A testimonianza del coraggio e della follia di un artista che invece di passare all’incasso nella stagione d’oro del pop consapevolmente scelse la strada impervia della sperimentazione, rimane un’eredità morale che ancora brilla nel buio e indica la via a chiunque sia disposto a percorrerla.

Per dirla con Eugenio Montale, 

“Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato non può fallire nel ritrovarti. Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio non era fuga, l’umiltà non era vile, il tenue bagliore strofinato laggiù non era quello di un fiammifero”.