Green Book, un viaggio attraverso i gironi americani
Ideata e pubblicata con cadenza annuale dall’impiegato delle poste newyorchese Victor Hugo Green dal 1936 al 1966, il green book, da cui trae ispirazione il regista Peter Farrelly per il titolo di questo film del 2018, era una guida ai servizi e ai luoghi dove gli afroamericani erano accettati negli anni delle discriminazioni razziali americane.
Vincitore di tre premi Oscar 2019, tra cui quello come miglior film dell’anno, Green Book racconta il viaggio e la nascita di un’amicizia tra un buttafuori italoamericano e un pianista afroamericano nell’America negli anni sessanta. Ispirato alla storia vera di Don Shirley e Tony Lip (pseudonimo di Frank Anthony Vallelonga), attore e padre di uno degli sceneggiatori del film, Nick Vallelonga, ha come protagonisti Viggo Mortensen e Mahershala Ali.
Il buttafuori italoamericano Tony Vallelonga deve trovare a tutti i costi un lavoro per mantenere la sua famiglia. Sfruttando anche la propria capacità oratoria, grazie alla quale si è meritato il soprannome di Tony “Lip”, l’ex buttafuori accetta di lavorare per il pianista classico afroamericano Don Shirley, facendogli da autista e da tuttofare in un tour nel sud degli Stati Uniti, zona in cui è ancora in vigore la segregazione razziale dei neri. La casa discografica di Don impone a Tony il rispetto completo delle scadenze dei concerti, pena il mancato incasso dello stipendio pattuito, e gli consegna una copia del cosiddetto Green Book.
Inizia così un viaggio verso gli Stati del Sud dove persistono ancora le leggi di segregazione razziale.
Una sorta di viaggio dantesco a ritroso, una progressiva discesa agli inferi in cui Don viene accompagnato dalla guida Tony, attraverso una sequenza sempre più feroce di gironi, dal paradiso del Nord fino agli abissi del profondo Sud americano.
Come nella migliore tradizione dei road movie, i due protagonisti, dopo una iniziale diffidenza reciproca dettatata dall’abissale distanza sociale e culturale dei loro mondi di appartenenza, intraprendono un viaggio nel viaggio, scoprendosi reciprocamente e attingendo l’uno dall’altro.
Tony incarna, non senza forse qualche cliché di troppo, il prototipico italoamericano: famiglia numerosa e “caciarona”, moglie premurosa e devota, due figli e tanti lavori, al limite della legalità, per portare il pane sulla tavola. È un uomo fondamentalmente buono e un po’ sempliciotto, ma sveglio e ogni tanto incline a qualche piccolo magheggio anche con i piccoli mafiosi della zona; insomma si arrangia come può e non si fà sovrastare dai problemi della vita, a cui invece sorride sempre con leggerezza italica. Il dottor Don Shirley è il suo esatto opposto: grande musicista e dottore di ricerca, possiede un intelletto raffinatissimo, un gran senso del decoro e un’idea di sé quasi opprimente.
Insieme, a bordo di una Cadillac Sedan DeVille, ci raccontano una bella storia di amicizia e di crescita personale che li coinvolge in maniera scambievole. Da un lato Tony grazie al suo nuovo datore di lavoro, scopre quanto possa essere iniqua e stupida la società in cui vive, e apprende la serietà, insieme a un po’ di grammatica (viene aiutato difatti a scrivere le lettere alla moglie dal compagno di viaggio). Don Shirley, invece, riesce grazie all’italoamericano a lasciarsi un po’ andare, ad abbattere un po’ quella sovrastruttura che lo rende terribilmente solo.
Il film è garbato e non cade mai nella trappola del damagogismo. La tematica delle discriminazioni razziali, che costituisce il nucleo narrativo centrale del film, è abilmente riassunta nell’inquadratura iniziale del Green Book, vademecum dell’itinerario, posato sul sedile della macchina prima di iniziare il viaggio.
Attraversando l’America delle discriminazioni, i due attraversano anche le contraddizioni, le ipocrisie e i razzismi minori sottesi: Don viene celebrato ed ospitato nelle case e nei locali dei bianchi colti del Sud, salvo poi non poter usufruire del loro bagno o sedere al tavolo del ristorante di cui è la star. Allo stesso tempo la sua condizione sociale di nero ricco, colto e raffinato, lo fa percepire come un corpo estraneo dalla comunità nera, perlopiù ancora ridotta in condizione di semi- schiavitù, che lo rifiuta non perdonandogli il suo status privilegiato.
Tony aiuterà Don Shirley a prendersi meno sul serio e, insieme, a ritrovare la sua identità perduta.
“Si rilassi e lo gusti.
Lo sa, mio padre diceva… qualunque cosa fai impegnati sempre. Quando ridi, ridi. Quando lavori, lavora. E quando mangi, mangia tutto quello che c’è.”
I due personaggi, complessi, antitetici, eppure complementari, sono il centro narrativo di un racconto empatico che, con inteligente ironia, offre uno spaccato storico ( la telefonata di Don a Robert Kennedy dalla prigione di provincia in cui è stato rinchiuso è un fatto realmente accaduto) e sentimentale, con il giusto equilibrio e la giusta pudicizia.
Il film è un lungo viaggio di formazione (e informazione) che con un taglio leggero ed equilibrato, restituisce la profondità del tema razziale senza ricorrere alla solennità drammatica, dimostrandoci che anche l’inferno può essere attraversarto con classe.