
Io esisto e sono asessuale
Discriminazione, pregiudizi, necessità di raccontare e parlare per far conoscere.
Alessandro Gazzi, asessuale e presidente di un collettivo, si racconta...
Il nome è importante, non solo per i significati che include,
ma perché l’atto di denominare non è un dato tecnico,
ma descrive un processo culturale e intellettuale di primaria importanza.
È nel nome che … l’uomo si apre alla verità del mondo…
Le cose esistono, ma non basta indicarle.
Per comprenderle, perché acquistino per noi un significato, siano discutibili,
entrino a pieno titolo nella riflessione pubblica
e dunque siano oggetto di confronto, e di crescita,
occorre che abbiano un nome.
Walter Benjamin Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo (1916)
L’asessualità si definisce come un orientamento sessuale caratterizzato dalla mancanza di attrazione sessuale verso tutti i generi. E’ dunque qualcosa che attiene alla sfera intima e privata eppure diventa essenziale nominare, definire, parlare pubblicamente per permettere all’altro di conoscere, per permettere a se stessi di riconoscersi. Dando alle cose un nome e una definizione queste appaiono addomesticabili, comprensibili; così ciò che è definito può diventare famigliare, ciò che è sfuggente può essere afferrato o almeno accettato.
L’essere umano è complesso e sfaccettato e comprenderlo appare spesso arduo. Sentiamo il bisogno di scatole e caselle per chiuderci dentro le persone, ma spesso anche per capire noi stessi.
Noi vogliamo dunque nominare, raccontare, dare spazio alle sfaccettature; per questo abbiamo intervistato Alessandro Gazzi, presidente del collettivo asessuale Carro di buoi, nato a Firenze nel dicembre del 2016 dall’esigenza di creare un punto di riferimento sul tema dell’asessualità, sul quale, ancora oggi, è difficile reperire informazioni corrette, soprattutto in italiano.
Chi è una persona asessuale?
«Asessuale è una persona che non ha attrazione sessuale verso nessun sesso o genere. Questa è la definizione di scuola, ma l’aspetto fondamentale da sottolineare e far comprendere è che non si tratta di una scelta, di una decisione, ma di un orientamento sessuale».
Come si capisce di essere asessuali?
«E’ molto difficile. Ci si sente sbagliati. Io ho vissuto la mia adolescenza negli anni ’80, l’asessualità era un tema completamente sconosciuto, mi mancava la definizione, il confronto. Spesso ti accorgi di essere asessuale quando qualcuno ti racconta la sua storia e senti che è simile alla tua, ti ci riconosci. Negli anni ’80 molti erano seguiti da psicologi, l’asessualità era qualcosa che non si conosceva, qualcosa da curare. Fino a poco tempo fa la “scienza” definiva l’asessualità come un disturbo».
C’è stato un episodio in cui hai sentito, più forte, che qualcosa in te era diverso?
«Ero ragazzino e un pomeriggio ci fu una delle classiche visioni di gruppo di un porno. Nel film ad un certo punto c’era una scena in cui la protagonista si trova in bagno e c’era un telefono grigio della Sip. Ecco poi parlando ho scoperto che soltanto io mi ero accorto che nel bagno c’era un telefono».
Essere asessuali però non significa, necessariamente, non desiderare o non avere relazioni amorose?
«E’ molto importante distinguere tra l’attrazione sessuale e l’attrazione romantica. Il desiderio di avere un rapporto sentimentale è qualcosa di complesso e molto sfaccettato, come lo è anche l’attrazione sessuale. Spesso le persone asessuali sono persone che hanno relazioni fuori dal comune e possono essere eteroromantiche, omoromantiche, biromantiche, panromantiche, polyromantiche e aromantiche. Non solo dobbiamo dire che non sempre le persone sono totalmente sessuali o totalmente asessuali, ci sono anche vie di mezzo delle varie definizioni».
Le persone asessuali sono vittime di discriminazioni?
«Assolutamente sì».

Che tipo di discriminazioni?
«La discriminazione parte con l’invisibilizzazione. Siamo invisibili agli occhi del mondo e veniamo categorizzati come malati o gay repressi. La discriminazione più diffusa è la patologizzazione. Spesso dobbiamo difenderci da chi dice che è un disturbo, una malattia. Molti ci dicono che siamo asessuali perché “non ci riusciamo”. Capita, non di rado, che si associ l’asessualità alla mancanza di testosterone. Altre volte siamo confusi con le persone caste o anti sessuali, come se essere asessuale fosse una scelta ideologica o un rifiuto dell’atto sessuale. Per me qualsiasi cosa accada tra due adulti consenzienti va bene, non ho nessun problema con chi fa e vuole fare sesso, semplicemente voglio essere libero di non farlo, senza per questo essere considerato malato, strano, senza essere vittima di battute o inquisizioni sulla mia vita».
Perché è così importante parlare dell’asessualità?
«Bisogna dire IO ESISTO. Raccontarsi diventa un’esigenza, se non ti dai tu una definizione te la danno gli altri. Sarebbe bello non dire niente, ma c’è bisogno di affermare la propria realtà e la propria identità».
Che cosa significa fare coming out?
«Io ho fatto coming out a 37 anni. Non è mai semplice. Spesso il primo coming out è quello da fare con il proprio partner. La parte difficile per noi è che quando dici alle persone di essere asessuale queste non sanno cosa significa. A tua madre non solo glielo devi dire, ma devi spiegarglielo e devi essere molto preparato, devi dirle tu di cosa si tratta, perché se andrà a cercarlo online troverà moltissime cose imprecise, false e fuorvianti».
Hai parlato del coming out con il partner. Le discriminazioni avvengono solo fuori o anche nelle relazioni più intime?
«Trovare un partner asessuale è spesso molto difficile, perché non siamo moltissimi (in Italia si stima che circa il 2% della popolazione sia asessuale); non basta incontrare una persona asessuale per innamorarsene. Alcuni hanno relazioni con persone sessuali, con le quali devono trovare un compromesso, un modo per stare insieme, per essere accettati così come sono. Ogni anno, attraverso il blog della nostra associazione, facciamo un sondaggio per comprendere quali sono le difficoltà che hanno le persone nelle relazioni miste, molte di queste riguardano soprattutto le donne asessuali. Si tratta di persone oltre i 30 anni, quindi non parliamo di adolescenti, ma di adulti. Ed emergono dati davvero sconfortanti: il 4% delle persone hanno avuto minacce di stupro da parte del loro partner; il 27% ha subito pressioni per avere rapporti sessuali e il 18% delle persone si è sentito proporre dal partner di avere rapporti sessuali per curare l’asessualità. La cosa più dolorosa è che la discriminazione, la violenza non si subisce da estranei, ma proprio da chi dice di amarti. È davvero deprimente quando un compagno o una compagna ti vede come una persona malata, come qualcuno da aggiustare o vuole obbligarti a violare la tua natura».
Che cosa consiglieresti a un giovane che sente di essere diverso, che crede che potrebbe essere asessuale?
«Per capire di essere diverso è molto importante incontrare i propri simili, il web può aiutare online c’è un gruppo Facebook ‘la comunità degli asessuali italiani’. Altra cosa importante è essere informati, tanto, ma non leggete testi in Italiano, al momento ci sono pochissime cose accettabili, spesso i giornalisti travisano le nostre dichiarazioni».
In questo periodo di restrizioni legate al Covid state vivendo ulteriori disagi?
«La legge non ci tutela, perché non ci riconosce. In questo momento le relazioni di amicizia, che spesso sono particolarmente importanti per le persone asessuali sono considerate meno delle relazioni famigliari e quindi siamo sempre più soli. Certamente la solitudine in questo momento è più forte che mai».