
“Se solo potessi, farei un patto con Dio e farei in modo che lui invertisse i nostri ruoli, risalendo per quella strada, risalendo quella collina”.
Un suono misterioso sbuca dal nulla, come una nebbia che sale e in attimo avvolge la brughiera, poi improvvisamente parte un galoppo sfrenato. È il palpito di un cuore disperato che risale la collina all’impazzata, pronto a lanciarsi dall’altra parte per sfuggire alla persona amata, nella folle speranza di ritrovarla finalmente cambiata, disposta a tutto perché questo accada. Anche a fare un patto con Dio. È Running Up That Hill (A Deal With God), l’inizio folgorante di Hounds Of Love, l’album più venduto di Kate Bush, uno di quei rari momenti nella storia della musica in cui il picco espressivo di un’artista coincide anche con il suo più grande successo commerciale.

La storia di Kate Bush e della sua affermazione artistica per certi versi è un mistero, difficile da comprendere per chi vive in un mondo come il nostro, dove il talento e il successo degli artisti è il più delle volte pianificato dall’industria musicale.
Compositrice, polistrumentista, autrice, interprete, ballerina, coreografa, produttrice, cantante dalla voce incredibile, in grado di cantare fino a quattro ottave di estensione, passando con disinvoltura da registri da strega ad altri dolcissimi, da narratrice di fiabe, Kate Bush è passata alla storia per aver lasciato un segno indelebile nella storia del rock e aver influenzato molti altri artisti, da Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins a Sinéad O’Connor e Björk.

Catherine (Kate) Bush nasce a Bexleyheath, periferia di Londra, il 30 luglio a 1958 da padre inglese e madre irlandese, un medico e un’infermiera con la passione per la musica che la avviano alla quinta arte fin da piccola. A dieci anni la piccola Kate suona già il piano e il violino e di lì a qualche anno comincia a comporre scrivendo musica e testi. Ha appena compiuto sedici anni e un demo delle sue canzoni finisce nelle mani del chitarrista dei Pink Floyd David Gilmour, che impressionato dal suo talento dapprima la sostiene pagando di tasca propria uno studio professionale e poi la presenta alla EMI, con la quale Kate firma il suo primo contratto, un “accordo di mantenimento” che le lascia il tempo di completare la sua formazione artistica e che lei sfrutterà per studiare arte del mimo con Adam Darius e danza con Lindsay Kemp (quest’ultimo già insegnante di David Bowie).
Nel 1978 debutta con l’album The Kick Inside, imponendosi per la scelta del singolo Wuthering Heights, a dispetto della casa discografica che considerava il pezzo troppo inquietante per il passaggio in radio. Il brano si ispira all’omonimo romanzo di Emily Brontë, che Kate aveva letto dopo essere stata impressionata da un adattamento televisivo della BBC del 1967, scoprendo di condividere con Emily Bronte il giorno di nascita (30 luglio) e il nome della protagonista del romanzo (Catherine). Come si dice, omen nomen. Kate, ispirata dal capolavoro della Brontë, decide di dar voce ai turbamenti dell’eroina del romanzo con un’interpretazione vocale folgorante, un saliscendi vertiginoso di virtuosismi che si rincorrono su tonalità altissime (secondo la leggenda frutto di un’unica registrazione in studio!). Wuthering Heights spinge The Kick Inside che diventa un successo inaspettato, Kate Bush è la prima donna autrice di tutte le canzoni ad installarsi con l’album di debutto nella top chart.
Il mondo si innamora di questa ragazza prodigiosa e il successo prosegue nel 1978 con l’album successivo Lionheart
Nell’aprile 1979 Kate debutta sul palco, al Palladium di Londra, occasione per la quale prepara testi, musiche e coreografia e disegna i costumi, conquistando pubblico e critica grazie alle sue performance esplosive, un susseguirsi sfrenato di numeri che ricomprendono cowboy nell’antico Egitto, paracadutisti dell’esercito britannico e violini danzanti, con lei che domina la scena cantando mentre balla e volteggia in aria lanciata da ballerini.
Nell’arco di soli due anni, tra il 1980 e il 1982 Kate Bush incide due album, Never For Ever e The Dreaming, quest’ultimo ispirato dalla collaborazione con Peter Gabriel, un album sperimentale e difficile che non conquista il pubblico e a cui segue un periodo di profonda stanchezza per la cantante inglese, tanto da spingerla a ritirarsi progressivamente dalle scene, centellinando apparizioni in tv e concerti. A distanza di anni confesserà:
“Ero in pieno naufragio, fisicamente e mentalmente. Mi svegliavo la mattina e scoprivo che non potevo muovermi”
Decide di prendersi una lunga pausa e si rifugia nella casa di famiglia, a Welling nel Kent, ritirandosi nella quiete domestica. Nell’estate del 1983 costruisce un suo studio privato a 24 tracce nel fienile, dove inizia a registrare nuovi brani, passando poi alle sovraincisioni e al missaggio, un lavoro che richiederà un intero anno e che verrà perfezionato negli studi di Windmill Lane a Dublino e Abbey Road a Londra. L’album prende il nome di Hounds Of Love e viene pubblicato finalmente nel settembre del 1985. Per la copertina dell’album viene scelta una foto scattata da John Carder Bush, uno dei due fratelli di Kate, che la ritrae distesa in mezzo a Bonnie e Clyde, due cani di razza Weimar languidamente addormentati. Come dirà lei stessa, il titolo dell’album ha a che fare con la paura di amare e i cani segugi (hounds) sono una metafora dell’amore, una forza primordiale che allo stesso tempo può dilaniarti o salvarti.

L’album è composto da due parti concettualmente distinte, una suddivisione che gioca sul formato dei supporti di riferimento in voga allora, il long playing e la musicassetta, che offrivano la riproduzione su due lati. La prima parte, propriamente intitolata Hounds Of Love, è costituita da cinque brani e si apre con il celeberrimo Running Up That Hill, un brano che mette in scena l’idea folle di una donna che per raggiungere una più profonda comprensione con l’uomo amato invoca Dio chiedendogli di scambiare i loro ruoli nella relazione. Il titolo iniziale del brano A Deal With God, considerato troppo audace, fu cambiato in extremis in Running Up That Hill per paura del boicottaggio in radio nei paesi cattolici, uno scrupolo che ai giorni nostri, con il Papa che rilascia interviste nei talk show, può far sorridere. Oltre a Running Up That Hill, dalla prima parte del disco verranno estratti i singoli Hounds Of Love, The Big Sky e Cloudbusting, brani che spopoleranno nelle classifiche internazionali spingendo l’album al primo posto nella top chart inglese.
La seconda parte del disco è intitolata The Ninth Wave ed è una suite composta da sette brani, un’opera ambiziosa e immaginifica che racconta l’odissea di un’eroina dispersa nell’oceano in lotta per la sopravvivenza. La varietà delle melodie, l’originalità degli arrangiamenti e i differenti registri con cui Kate Bush interpreta i brani hanno dello sbalorditivo. L’inizio di questa epopea è affidato ad una stupenda canzone per sola voce accompagnata dal pianoforte (And Dream Of Sheep), che racconta la vicenda di una donna dispersa in mare e della notte tormentata che trascorre in acqua, fino a quando scivola nel sonno e sprofonda negli abissi (Under Ice), dramma che Kate Bush mette in scena intonando un canto sospeso su una melodia cupissima di sole due note di violoncello, indimenticabile. È il momento dello sgomento, con la protagonista in preda alle allucinazioni che si vede accusata da una giuria immaginaria (Waking The Witch), in un brano parossistico giocato su un susseguirsi di voci ed effetti, tra cui il suono di un elicottero preso in “prestito” da The Wall dei Pink Floyd (noblesse oblige).
C’è pure spazio per uno sprazzo dal tipico sapore irlandese, una giga sfrenata di violini, fischietti, bouzoki e cornamuse (Jig Of Life), a cui segue una ballata rassegnata, dove la protagonista stesa sull’acqua e vicina alla fine trova un qualche conforto nelle stelle (Hello Earth). La meritata salvezza arriverà nel finale del disco (Morning Fog), un brano dolcissimo che evoca la nebbia al mattino, una magia che pietosamente nasconde il dolore e svela nuovi scenari di speranza.
Si chiude così Hounds Of Love, un’opera irripetibile, un disco che ha un posto speciale nei ricordi di chi lo ha già ascoltato e che, a distanza di quasi quarant’anni dalla sua uscita, è in grado di fare breccia nel cuore di chi non lo conosce ancora.
Bambina prodigio spuntata dalla provincia, che dopo essere stata acclamata da pubblico e critica si smarrisce, decide di ritirarsi in campagna per ritrovare sé stessa e in un fienile compone il suo più grande capolavoro.
Sembra un film di Hollywood, invece è la storia di Kate Bush, una di quelle che meritano di essere raccontate.