La libertà è una battaglia

Jacopo Fo si racconta e ci fa vedere il mondo con i suoi occhi: “Vedo una totale assenza di passione, le persone vivono in un frigorifero esistenziale”ma ha permesso lo sviluppo delle grandi civiltà umane nel nostro mondo.

Layla CrisantiBy Layla Crisanti|In Pensare|7 Minuti

La voce profonda, il tono pacato, le parole misurate, sempre quelle giuste, taglienti e precise. Dopo le prime domande mi dice di dargli del tu. Ma come si fa ad usare un tono confidenziale quando si parla con un’icona, un uomo che rappresenta il coraggio di spendersi in mille battaglie, una dietro l’altra, senza sosta, senza mostrare stanchezze o paure. Dire chi è Jacopo Fo in poche righe è davvero un’impresa impossibile. Figlio di Franca Rame e Dario Fo ha iniziato a lavorare a soli 18 anni. La sua vita è una continua ricerca e sperimentazione di forme espressive, di impegno sociale, politico e artistico.

Chi è Jacopo Fo? Che cosa le piacerebbe si dicesse di Lei?

“Non ci ho mai pensato. È una domanda difficile. Ho seguito la strada dei miei genitori raccontando storie che erano state censurate o manomesse”.

Tra le tante opere artistiche e attività che ha realizzato nella sua vita, qual è quella che meglio la descrive, a cui si sente più affezionato?

“In realtà ho fatto sempre la stessa cosa, pur usando varie forme d’arte. Ho cercato di far sapere le cose che non si sapevano. Ho raccontato sempre con numeri, fatti, evidenze. Ho realizzato, anche, spettacoli teatrali parlando direttamente di me stesso. Una cosa che per l’epoca era piuttosto innovativa”.

Che cos è la libertà di pensiero?

“Una battaglia.

Attorno a noi c’è un conformismo spaventoso. C’è moltissima gente che a parole è progressista, ma in realtà rinuncia alla libertà perché è scomoda. Ho sperimentato sulla mia pelle che cosa significa difendere la propria libertà di pensare e di dire: ho fatto spesso incazzare i progressisti. Negli anni ’80 ho creato grande scandalo quando ho iniziato a parlare di ginnastica coccigea, incontinenza ed educazione sessuale senza tabù. Di questi temi non si poteva parlare. Oggi è fastidioso dire che gli ecologisti fanno terrorismo sulla fine del mondo, perché abbiamo tutti gli strumenti per fermarla. E’ fastidioso dire che non è vero che i femminicidi sono in aumento; sono, sì, una cosa tremenda, ma i numeri parlano chiaro e ci dicono che sono in diminuzione”.

Una domanda poco originale, ma inevitabile, d’altronde ha scritto anche un libro su questo tema. Che significa crescere con Dario Fo e Franca Rame?

“Appunto ho scritto un libro … (Com’è essere figlio di Franca Rame e Dario Fo – Guanda Editore 2019 ndr) è difficile parlarne in modo sintetico. Averli come genitori è stata una grossa fortuna perché mi hanno dato degli strumenti fuori dal comune, non tanto per le conoscenze, quanto per il livello di umanità. Però è stata anche una grande sfida perché era sottinteso l’obbligo di fare grandi cose, di spendermi per battaglie importanti. Visto che sono nato fortunato dovevo mettere a frutto queste grandi possibilità. Sono anche cresciuto in una famiglia di gente che ha subito ogni sorta di violenza, questo mi ha messo di fronte a grandi sfide con me stesso, non tutte vinte”.

E’ stato libero di diventare ciò che voleva?

“Sono sempre stato libero di fare, ma d’altra parte ho sempre sentito una sorta di dovere morale, quasi religioso, di combattere. Come se qualcosa mi dicesse che avendo avuto grandi mezzi, non potevo che fare grandi cose e combattere grandi battaglie. Così ho sempre fatto senza pensare alle conseguenze. Ho pagato carissima la mia scelta di abbandonare la Mondadori nell’era Berlusconi. Per molto tempo nessuno ha pubblicato i miei libri, non ho fatto spettacoli, non sono andato in televisione. Sono stato fortunato perché mi sono potuto permettere di fare questa scelta, non sono dovuto scendere a compromessi”.

Per cosa vale la pena lottare oggi?

“E’ sempre la stessa storia. Vale la pena lottare per un mondo più umano. Miliardi di persone vivono in condizioni che non si possono descrivere e in maniera del tutto ingiustificata visto che ci sarebbero risorse per tutti. Sono molte più le persone che muoiono perché mangiano troppo di quelle che muoiono per fame. Viviamo in un mondo dominato dalla follia”.

Nel tempo si è speso in tante battaglie… e adesso?

“Il tema che più mi sta a cuore in questo periodo e su cui sto lavorando è la mancanza di passione. Vedo un’incredibile assenza di passione, persone che vivono solo per anestetizzarsi: droghe legali, risse politiche, tifo; tutto senza un vero coinvolgimento. Vivono in un frigorifero esistenziale. Il feticcio culturale più pericoloso, ciò che più allontana dalla vera passione è l’idea che soltanto con il sacrificio e il dolore si possano fare delle cose, una cultura che ha al centro l’idea del martirio, l’assenza di piacere e le punizioni. I figli vengono continuamente minacciati, io ho sempre cercato di parlare con mia figlia, ho spiegato e dimostrato che alcuni comportamenti erano stupidi. Fin da piccolissima. La cintura, tanto per fare un esempio di tutti i giorni, è sempre stata una priorità e se non la metteva semplicemente fermavo la macchina. Poi una notte è successo che mia figlia si è salvata la vita in un incidente perché aveva messo la cintura e aveva obbligato anche i suoi amici a metterla, eppure era in piena ribellione contro di me”.

Prima di salutarci, non può mancare una domanda su un progetto, che rende tangibile il pensiero di Jacopo Fo.

Che cos’è la Libera università di Alcatraz?

“E’ il tentativo di creare un posto che descriva un alto livello di qualità della vita. Ho creato un luogo in cui la forma non ha molta importanza, quello che conta è l’alta qualità delle cose, la sostanza, anche se a molte persone la qualità non interessa. Aria, cibo, panorama; ad Alcatraz si mangia bene immersi nella natura e ci si predispone ad ascoltare le sensazioni”.