
Netflix: ovvero “La mano di Dio”
È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino era il film più atteso di questo scorcio 2021. Preceduto da inutili discussioni, investito da grandi aspettative e travolto da molte polemiche, è approdato finalmente sul grande schermo, poi in piattaforma, suscitando, come c’era da aspettarsi, pareri contrapposti e dibattiti a non finire. Proviamo a riassumere a grandi linee ciò che è accaduto nel tentativo di separare l’extra filmico rispetto ad un giudizio ragionato sul film.
La questione sale cinematografiche vs Netflix
Il film di Sorrentino, realizzato da Netflix, è uscito nelle sale il 24 novembre con quasi tre settimane d’anticipo rispetto alla distribuzione sulla piattaforma. Un’uscita che ha scatenato polemiche a non finire. Il film Netflix distribuito attraverso Lucky Red viene proiettato in molte meno sale di quelle inizialmente previste (circa 250 a fronte delle 400 coinvolte). Una decisione unilaterale giunta venerdì 19 novembre, a quattro giorni dall’uscita, con molti dei cinema coinvolti che, da un momento all’altro, si sono visti privare di un film importante, di un incasso importante, e, cosa ancor più grave, hanno dovuto reinventarsi una programmazione per la settimana successiva con soli tre giorni a disposizione. I motivi della scelta di Netflix avallati da Lucky Red, li possiamo solo immaginare visto che il colosso americano può permettersi di prendere decisioni senza dare alcuna spiegazione. È possibile che abbia preferito procedere con la politica della distribuzione “in un numero selezionato di sale”, principalmente in zone strategiche (come le grandi città o gli storici cinema d’essai), sfruttando poi il passaparola per il lancio in streaming; oppure che abbia preferito evitare la distribuzione di un numero maggiore di copie intuendo come ci fosse grande attesa per il film di Sorrentino e dunque il maggiore afflusso in sala avrebbe privato la piattaforma di eventuali spettatori in streaming; oppure, infine, abbia voluto dare una prova muscolare senza precedenti nei confronti delle varie Associazioni di categoria dell’Esercizio Cinematografico Italiano come ANEC (Associazione Nazionale Esercenti Cinema) e ANEM (Associazione Nazionale Esercenti Multiplex), le quali da qualche anno ed in particolar in occasione dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia, contestano a gran voce la contemporaneità dell’uscita di alcuni film sia in sala che su altri mezzi. Solo ipotesi. Sta di fatto che poi il film è andato molto bene nelle sale in cui è stato distribuito. Quanto bene? Non lo sapremo mai, perché in conformità alle regole che Netflix si è data, non sono stati comunicati gli incassi delle sale. Netflix, che da sempre non rende note le visualizzazioni sulla propria piattaforma di streaming, ha esteso il veto anche alla sua distribuzione in sala ed essendo il film di Sorrentino un prodotto Netflix, non sappiamo quanto abbia incassato. D’altro canto la politica del colosso dello streaming è fare abbonati, il passaggio in sala è funzionale solo alla successiva fidelizzazione dello spettatore alla piattaforma, il numero degli spettatori e il relativo incasso al botteghino sembra non essere la parte decisiva del suo sistema. Anzi a ben vedere “la mano di Dio” di Netflix è servita per rifilare due ceffoni a chiunque abbia voluto mettersi di traverso alla sua politica, che possiamo riassumere così: facciamo come vogliamo.
«La realtà è il punto di partenza per tutti i racconti, però va reinventata»
La frase, dall’evidente sapore felliniano, con cui il regista, ha accompagnato l’uscita del film, spiega l’operazione cui ha dato vita Paolo Sorrentino. Si tratta di una quieta, divertente ed insieme profonda rilettura a posteriori del suo cinema. Attraverso uno degli episodi più dolorosi della sua vita, Sorrentino ha dimostrato a tutti, soprattutto ai suoi detrattori, come si possa rielaborare il reale attraverso sogni, simboli e visioni anche mediante un film apparentemente minore e intimista. Da sempre una delle accuse mosse al regista napoletano è quella di aver contrassegnato il suo percorso autoriale concentrandosi esclusivamente sull’indagine di quel potere maschile dell’Italia degli ultimi anni: il calcio e la musica leggera ne L’uomo in più, il denaro e la camorra ne Le conseguenze dell’amore, la politica del potere ne Il divo e nel Berlusconiano Loro, fino al potere maschile per eccellenza che è la chiesa ed il suo pontefice nella meravigliosa serie che è The Young Pope. A tale pesante capo di imputazione, solitamente, si aggiunge l’aggravante di esibire questo universo attraverso un barocchismo ed una magniloquenza che sembrano lusingare più che criticare il potere raccontato. Il nono lungometraggio di Paolo Sorrentino è dunque un’opera certamente originale all’interno della sua filmografia, ma non troppo, perché il regista realizza un film fortemente intimista e personale non rinuncia affatto alla sua cifra stilistica e alle suggestioni oniriche cui ci ha abituato.
Ed infatti il film comincia con la macchina da presa che si avvicina a Napoli e la coglie tutta, dall’acqua all’alto, dal lungomare alla collina. La macchina avanza veloce per raggiungere e seguire un’auto d’epoca che procede sul lungomare, la accompagna per un po’, poi torna sul mare aperto.
A seguire una visione che racchiude tutta la poetica decadente napoletana, barocca e borbonica, mistica ed insieme erotica.

Quelle prime scene, sorrentiniane e napoletane, dove compaiono San Gennaro, zia Patrizia e ‘o munaciello, insieme alla scala monumentale, al lampadario illuminato, gigantesco e magnifico ma riverso sul pavimento, ci fanno capire che la mano del regista rimane la stessa. Dopo un incipit magistrale dal sapore onirico, il film si immerge senza indugi nell’esistenza di Fabietto Schisa, l’alter ego del giovane Sorrentino (interpretato con empatia da Filippo Scotti), attraverso una vivace vita familiare degna delle opere maggiori di Edoardo De Filippo. Commedia, farsa, tragedia si amalgamano, convivono, si alternano, ed ogni personaggio che entra in scena, dai genitori alla zia Patrizia, dal circo dei parenti alla Baronessa, dagli improbabili fidanzati ai vicini del Nord tutti abitano quell’orizzonte tra il vero e il verosimile su cui è inutile porsi domande petulanti del tipo: «la zia bella che si spoglia sempre è vera? E quella che mangia la mozzarella, dice maleparole a tutti e si tiene la pelliccia anche d’estate per far vedere che ce l’ha? Ma l’anziana baronessa del piano di sopra che giudica tutto “una cafonata” l’ha davvero svezzato sessualmente?». I ricordi non appartengono più alla realtà da cui provengono, questa ha mantenuto dei tratti indefiniti perché determinati dall’ondivaga precisione della memoria
La grandezza dell’opera sta tutta qui, un ricordo particolare che si fa universale.

Così i seni prosperosi della zia, gli scherzi della mamma, l’attesa febbrile per El Pibe de Oro, diventano tutte vicende raccontate attraverso una narrazione ad affresco che compone il film di molti episodi senza però fargli perdere la sua unità di fondo, che è quella propria del romanzo di formazione di un ragazzo della borghesia napoletana. Sorrentino coraggiosamente ed ambiziosamente ha mostrato i suoi traumi e le sue fragilità partendo da una realtà fecondata dalla memoria, che raccoglie emozioni, fatti accaduti o immaginati, persone e personaggi che si muovono tra realtà e pura fantasia. Nel finale è sempre il cinema ad essere protagonista con l’incontro tra Fabio Schisa e il regista Antonio Capuano, il quale realmente fu suo maestro e realmente amava punzecchiare il giovane protagonista, con il misterico invito “Non ti disunire” lasciato cadere sul fondo di una conversazione.
“Non ti disunire!”
a detta del vero Antonio Capuano, è una frase che si diceva durante le partire di calcio; e che ovviamente nel gergo sportivo significa “non dimenticare il tuo ruolo”.

Molti hanno tentato di interpretare questa conversazione associandola alla partenza del protagonista verso Roma, verso il cinema autentico, lasciandosi l’unità con Napoli alle spalle. Non sappiamo quale sia il senso autentico, e nemmeno ci piace decodificare un film come fosse un rebus con i suoi indizi.
La grandezza di Sorrentino sta nel fatto che non si puà mai ricondurre ad unità interpretativa.E questo ci basta!
Revisione a cura di Promise Edoziogor