
Dalle origini a oggi:la dimensione culturale del cibo
“Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei”
professava Jean Anthelme Brillat-Savarin, politico e gastronomo francese. Una filosofia di vita ripresa poi con maggior fortuna dal filosofo Ludwig Feuerbach, padre del materialismo tedesco, con il suo tormentone, come si direbbe in tempi moderni, “l’uomo è ciò che mangia”.
Quanto sappiamo davvero del cibo di cui si nutre il nostro corpo? La nostra mente? La nostra anima?
Facciamo un salto nel passato, nella storia del cibo che ha segnato secolo dopo secolo, era dopo era il nostro patrimonio di saperi, usi e costumi. Quel lungo percorso – ancora in atto – che ha plasmato la cultura del cibo unendo popoli e contribuendo a formare il loro carattere identitario.Il cibo ha dato vita a intere civiltà che fin dalle origini, dalla preistoria hanno attinto all’agricoltura e ai prodotti della terra come base per la sopravvivenza. Le società di allora si affidavano alla caccia e ai primi metodi di coltivazione e si basavano sui sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti oltre che all’allevamento del bestiame. Siamo nel Neolitico. È poi la volta del frumento e dei primi tentativi di panificazione con gli Egizi. Per arrivare ai luculliani banchetti della Roma imperiale e al Medioevo in cui primeggiavano uova e carne di maiale. Quindi la scoperta dell’America che portò nel Vecchio Continente patate, pomodori, zucche, mais e molto altro.
In quello che è un rapido grafico dell’evoluzione alimentare dal cibo inteso come sussistenza e necessità si passa alle tecnologie più moderne e innovative. A un modo di pensare al cibo in chiave moderna e rivoluzionaria, alla Nouvelle Cuisine, talvolta con un recupero delle tradizioni regionali o con uno sguardo a una cucina proiettata al futuro (leggi fusion o molecolare).

Per arrivare al cibo inteso come aggregazione sociale.
È l’era moderna che porta un’incredibile voglia di cambiamento. Il caos delle regole che impone agli esseri umani di mangiare per piacere, per godere del gusto delle cose, per rilassarsi e condividere, soprattutto con l’avvento dei social network.
In tavola sempre lui, il cibo, che si è evoluto sì, ma che dentro di sé porta una storia ben definita fin dalle sue origini. Cibo che se osservato, analizzato, studiato, interpretato, assaporato può raccontare tanto di sé. L’antropologia alimentare che gli anglosassoni indicano con l’espressione “food studies” si concentra proprio su ciò che riguarda la coltivazione, la raccolta, la conservazione e la preparazione del cibo con uno sguardo particolare agli aspetti sociali e psicologici a cui il “mangiare” è collegato.
Dalla pancia alla testa insomma
Origini e modernità in tema gastronomico hanno un grande fil rouge che riprende la straordinaria capacità dell’uomo, in quanto onnivoro, di ricercare i cibi più nutrienti e gustosi scartando in natura quelli potenzialmente dannosi. Il leit motiv è una sorta di degree alimentare che ha acquisito dopo secoli di studio ed esperienza consentendogli di essere flessibile e di sviluppare un grande senso di libertà.

Un esempio per tutti la dieta mediterranea che negli anni ha definito un territorio e uno stile di vita di un legame tra le civiltà e di dialogo tra diverse culture guidando l’uomo nelle sue scelte alimentari, quasi “addomesticandolo”. A volte saggio, altre volte un po’ meno l’uomo ha saputo valorizzare il cibo che l’ha sempre nutrito codificandolo e trasformandolo in comportamento alimentare e in patrimonio da proteggere e tramandare. Ecco quindi che gestisce o reinterpreta liberamente la cultura delle tradizioni e la propria storia riscoprendo i valori primordiali della terra e dei suoi prodotti. Un seme, però, che può diventare conoscenza e cultura solo per chi lo sa piantare e nutrire.