
Quando gli ho chiesto di fargli qualche domanda per il giornale, mi ha detto che era diretto a ovest
e che se avessi aspettato il suo ritorno, probabilmente non l’avrei mai più incontrato.
Mi dice di vederci subito, in giornata, “tra qualche ora”, nella stanza sulla ventiquattresima in cui è
temporaneamente alloggiato, da un amico, non mi dice chi, io non chiedo.
Non ho avuto il tempo di preparare le domande, non ho riletto le parti salienti dei suoi romanzi,
prendo il cappotto, il mio registratore e la metro.
Ho una sensazione di nausea elettrizzante.
Al citofono non risponde nessuno, mi resta solo la nausea.
È già partito verso ovest.
Mi volto e lo trovo seduto a fissarmi dentro una Ford Sedan del ’37.
“Dicevano che non le piace guidare.”
“È vero”, si allunga verso lo sportello e lo apre, mi fa cenno di salire con la testa.
Alla mia sinistra Jack Kerouac, alla mia destra una porta sgangherata con la chiusura difettosa, e
dentro di me, la certezza di non poter fare affidamento su nessun appiglio.
Mi sembra di cogliere il senso della Beat Generation: non fare affidamento su nessun appiglio.
“Ho dovuto lasciare la stanza, se le sta bene faremo un giro in macchina, fino a quando non vorrà
uccidermi.”
Ecco un buon compromesso, penso.
Ha un aspetto forte, vigoroso, contemporaneamente stanco, addolorato.
La rosacea sul naso e sulle gote appare come una nube crepuscolare, si mischia all’alba della sua
pelle opalescente, dando l’impressione di non trovarsi semplicemente in contemplazione di un
volto, ma al di sotto di un cielo infinito e mobile, nel fulgore delle mille luci della città.
Sul cruscotto ci sono due bottiglie di whisky.
Mi auguro che quando guida non beve.
Mi auguro che quando intervista non scatta fotografie.
Ho con me solo il registratore.
Se non bevessi non potrei guidare.
Nemmeno a me piace guidare.
Questa è una pessima notizia.
Però le piace viaggiare. Cos’è il viaggio per lei?
Perdere.
Cosa?
Tutto.
Quello che cerchi non se ne sta mai buono seduto sul divano.
Cosa cerca quando parte?
Quello che cercano tutti, un po' di pace.
La trova?
Non la trova nessuno, ma non bisogna smettere.
(Ingrana la marcia e mi guarda N.d.R.) Hey, non vorrà mica parlare per tutto il tempo?
Almeno fino a quando vorrò ucciderla.
Speriamo di sbrigare presto questa faccenda.
Preferisce il silenzio?
Si, lo preferisco alle parole, soprattutto quando sono in compagnia.
Di chi?
Di una donna, per esempio, mentre guido sui fianchi di una città spietata e svampita.
Tutto quello che dice sembra sempre letterario.
Non faccio il farmacista.
È una decisione o la sua natura?
La natura è di fatto una decisione, una decisione che si prende molto presto, per questo a volte è
molto sbagliata, e più è sbagliata, più ci si ostina a definirla “natura”.
Per sollevarsi dalla responsabilità delle scelte?
Non siamo quasi mai liberi per farne, tutto quello che accade agli uomini è sempre irreparabile.
Nei suoi testi però la libertà è centrale.
È centrale perché non sta dalla mia parte.
(Sorride N.d.r.)
È così difficile essere liberi?
Non è solo difficile, è quasi impossibile.
“Quasi” non sembra definitivo.
“Quasi” è l’angoletto che riserva la letteratura per illudersi del contrario.
Bisognerebbe capire cosa sia la libertà.
Bisognerebbe capire anche cosa sia la letteratura.
Si può parlare di libertà nei libri?
Pare di si.
Forse anche questo significa essere liberi?
La gente libera non scrive.
La gente libera ha di meglio da fare che starsene a rimuginare in una stanzetta con le dita che
corrono avanti e indietro sui tasti di una Underwood.
La gente libera dov’è?
Con Neal.
(Neal Cassady N.d.r.)
A vivere.
O a credere di farlo.
C’è differenza?
No.
Sono dunque tutti prigionieri?
Si, ma se non scrivono non possono saperlo.
Eppure, molti credono che la Beat Generation sia la massima espressione della libertà.
No, è più che altro un tentativo.
È una beatitudine, un momento estatico che ha troppe difficoltà a replicarsi.
È come la felicità?
No, la felicità non può essere buttata giù a parole.
E l’amore?
Solo se abbiamo la cura di essere onesti, e lasciarlo sbrigliato dalla felicità.
È mai stato felice?
Si, e sono stato pure innamorato.
Mai contemporaneamente. E lei? Lei è mai stata felice?
Quando ripenserò a questo giro in macchina insieme a lei, lo ricorderò come un giorno felice.
Ha detto una cosa deliziosa, ma non mi ha risposto.
Sappiamo tutti cos’è la felicità perché siamo infelici.
Già. Quindi non mi ucciderà…
Mi sembra deluso.
Sarebbe una buona conclusione essere uccisi da una donna.
Ben più dignitosa che farlo da solo col whisky.
Io non la ucciderò, non conti su di me.
Vorrà dire che mi finirà quel figlio di puttana di Johnny Walker Red.
Perché desidera morire?
“Dobbiamo andare e non smettere mai di andare finché non ci arriviamo…”
“Dove stiamo andando?”
A Ovest. Viene con me?
“Non lo so, ma dobbiamo andare.”
(Ridiamo, poi il suo sguardo torna grave N.d.r.)
Adesso possiamo stare in silenzio?
Si, se lo desidera possiamo stare in silenzio.
Proseguimmo per lunghi chilometri senza parole, spingendoci fino all’estremità in cui la città
finisce e ne inizia un’altra.
“…e so che nell’Iowa a quell’ora i bambini stanno certo piangendo nella terra in cui
lasciano piangere i bambini, e che stanotte usciranno le stelle, e non sapete che Dio è
l’Orsa Maggiore?
E la stella della sera deve star tramontando e spargendo il suo fioco scintillio sulla
prateria, il che arriva proprio prima della notte completa che benedice la terra, oscura i
fiumi, avvolge i picchi e rimbocca le ultime spiagge, e nessuno, nessuno sa quel che
succederà di nessun altro, se non il desolato stillicidio del diventare vecchi…”
Allora penso a Jack Kerouac,
penso a Jack Kerouac,
il padre che mai trovammo,
penso a Jack Kerouac.
Ora possiamo stare in silenzio?
