La libertà non esiste ma bisogna vivere come se esistesse

Michele Serra si racconta parlando di libertà e di pensiero, di giornalismo e presente

Layla CrisantiBy Layla Crisanti|In Pensare|7 Minuti

Giornalista, scrittore, autore televisivo. Michele Serra è una delle voci inconfondibili del nostro presente. Attento, puntuale a volte inesorabile osserva e racconta. Tra i motivi per cui è impossibile non conoscerlo c’è sicuramente “L’amaca”, la rubrica fissa di la Repubblica che cura dal 2001 raccontando vizi, costumi e distorsioni del nostro tempo, usando l’ironia e una penna spesso tagliente.

Questa volta Michele Serra parla di se stesso, rispondendo alle nostre domande e lasciandoci intravedere il suo modo di intendere la realtà e la libertà.

Chi è Michele Serra? Come Le piace descriversi?

“Sono una persona molto fortunata, che ha potuto fare per tutta la vita la cosa che voleva fare: scrivere. Negli ultimi anni, diciamo da quasi anziano (ho 65 anni), ho potuto aggiungere al mio bellissimo mestiere una seconda passione, che è occuparmi attivamente dei campi in mezzo ai quali vivo. Scrittura e natura, computer e trattore, che cosa posso volere di meglio?”

Libertà di pensiero e libertà di espressione. Due concetti giganti, ma che cosa sono per Lei?

“La libertà di pensiero, se non si vive sotto dittatura, ha come principale nemico noi stessi. Voglio dire che la pigrizia intellettuale, il conformismo, il pregiudizio, abitano dentro ciascuno di noi, e condizionano, non poco, la nostra libertà di pensiero. La libertà di espressione è un problema diverso, perché riguarda il nostro rapporto con gli altri. Ha dei limiti? Sì, ha dei limiti, e chi pensa il contrario sbaglia, o per ingenuità o per sciatteria. Non si può dire sempre e comunque tutto quello che si vorrebbe dire. Ci sono pensieri e parole che sono sconvenienti non per ipocrisia, ma perché offendono e feriscono altre sensibilità. Parlare e scrivere da persone libere non vuol dire lasciarsi uscire di bocca qualunque cosa. La parola è una responsabilità. Grande”.

Tutti La conoscono per “L’amaca”. Un giorno dopo l’altro, un pensiero dopo l’altro. Che cos è per Lei “L’amaca”? E’ una forma di libertà di pensiero?

“E’ prima di tutto una fatica quotidiana. E dico ‘fatica’ con orgoglio, perché faticare per un obiettivo è la cosa più gratificante del mondo, è ciò che dà dignità agli uomini. Il mio è un lavoro artigianale, fatto di limature, ripensamenti, rifacimenti, dubbi. Credo che il lettore senta, prima di tutto, che dentro l’Amaca c’è una persona che usa le parole con cura, le tratta con rispetto”.

Informazione libera e indipendente. E’ davvero realizzabile? Esiste oggi?

“Nei limiti. Ogni fonte, ogni voce, ogni giornalista ha dei condizionamenti interni ed esterni. Ha i suoi pregiudizi, e ha un editore. Bisogna leggere e informarsi senza pensare  ‘questi mi stanno fregando’, come è purtroppo nella psicologia diffidente di molti; ma anche considerando che non è oro colato, che tutto merita verifica e discussione. Ci vuole equilibrio, per informarsi: una capacità anche minima di filtrare le notizie, di capirle, di leggerle criticamente, di non essere dei terminali inerti.

Un altro problema è quello della gratuità. Sono tra quelli che pensano che la qualità (poiché costa lavoro e fatica) debba essere pagata. Di cattiva informazione a costo zero se ne trova a valanghe. Ovviamente, anche la cattiva informazione a pagamento non manca. Ma fino a che il grosso dell’opinione pubblica non capirà che la qualità si paga, il grosso dell’opinione pubblica rischia di informarsi male. E’ come per il junk-food: chi mangia male si intossica”.

L’informazione ci rende liberi?

“Quella buona, sì. Ma rende liberi anche, ogni tanto, interrompere il flusso di informazioni, fare silenzio, sentirsi soli, camminare all’aperto, leggere, conversare. Troppa informazione fa sentire prigionieri di una sorta di obbligo sociale che può diventare opprimente. C’è la Polis, ma c’è anche il focolare, l’intimità. E il diritto di non esserci, almeno ogni tanto”.

Come si può essere davvero liberi di pensare? E’ possibile essere liberi dai condizionamenti e trovare il proprio pensiero?

“E’ un percorso. Nella libertà assoluta, credo di averlo già detto, non credo. Forse qualche grande spirito ci è arrivato vicino, non noi, certamente non io. Bisogna, certo, provare a essere liberi dal solo vero censore che abbiamo, ovvero noi stessi. Bisogna cercare di pensare e di parlare in buona fede, di mettersi nei panni degli altri, di non essere provinciali o meschini. Poi di non essere saccenti, non sputare sentenze, non parlare da un pulpito. La quantità stessa degli ostacoli che si frappongono tra noi e la Libertà con la L maiuscola ci fa capire che essere liberi non è per niente facile”.

Che Italia è quella di oggi? Esiste la libertà di pensiero?

“Mi verrebbe da dire che ce n’è anche troppa, a giudicare dalla perdita di freni inibitori. Diciamo che è un’Italia vivace, ma un poco informe. Come se avesse perduto tutte o quasi le sue vecchie forme di espressione, e ancora non avesse trovato quelle nuove. Senza forma si vive male. Le parole sono forma allo stato puro”.

Lei si sente più giornalista o più scrittore?

“Mi sento scrittore da quando avevo sette anni. Ovviamente sono molto riconoscente al giornalismo per avermi permesso di scrivere e di avere un pubblico così largo, e così affezionato. Questo mi ha molto agevolato, da un certo punto di vista. Da un altro mi ha ostacolato, perché un giornalista fa più fatica e ci mette più tempo per farsi considerare uno scrittore vero. Ci sono riuscito solo dopo i cinquant’anni”.

Esiste la libertà?

“No, ma bisogna vivere come se esistesse. E’ già stato detto a proposito di Dio, mi sembra. Questo ci fa pensare che l’idea della libertà assomigli all’idea di Dio”.