Rubrica

Le Insterviste Impossibili

La libertà di John Lennon

Guendalina PaceBy Guendalina Pace|In Pensare|8 Minuti

Mi dà appuntamento a casa sua.
Arrivo puntuale all’orario concordato.
Mi accoglie lui alla porta, scalzo, mi stringe la mano e m’invita a sedere nel soggiorno, m’informa che faremo l’intervista comodi, seduti sul divano, senza nessuna formalità.
Ha preparato anche il tè, e dopo una battuta sulle abitudini degli inglesi, che cascasse il mondo, in qualsiasi luogo si trovino, alle cinque bevono una tazza di tè, iniziamo l’intervista.

Cos’è la libertà per lei?
Essere diventato me.

Chi è John Lennon?
Un altro.

Un altro diverso da chi?
Da chiunque.

Essere liberi significa essere diversi?
Significa poter essere chi siamo.
(Beve un sorso di tè e si accende una sigaretta n.d.r.)

Chi vorrebbe essere se non fosse lei?
Quello che sarei stato altrimenti.

Si spieghi meglio.
Se mia madre non mi avesse abbandonato e non fosse morta, se mio padre non se ne fosse andato via, se tutto fosse andato diversamente, ecco, vorrei sapere chi sarebbe stato quel tale.

Chi è diventato?
Siamo il risultato di quello che ci hanno fatto, e del tempo che abbiamo impiegato a perdonarci.

Chi ha dovuto perdonare?
Gli altri, e me stesso naturalmente.

Cosa le hanno fatto gli altri?
Mi hanno imposto di essere come loro.

A chi allude quando parla di “loro”?
La famiglia, o l’apparato sgangherato da cui proveniamo, le convenzioni del nostro tempo, le abitudini, come il tè (alza la tazza e sorride n.d.r.)

Somigliava alla sua famiglia?
Non ho avuto scelta, all’inizio non ce l’ha nessuno.

Cosa intende?
Siamo tutti uguali alle nostre famiglie, le ricalchiamo, anche se ogni famiglia è diversa dalle altre.

E questo è un male?
Cosa?

Essere simili alla propria famiglia.
Non sempre.

Nel suo caso?
Abbastanza.

Quando in God scriveva: “Dio è un concetto con cui misuriamo il nostro dolore”, cosa intendeva con Dio?
L’unica fede che abbiamo all’inizio della nostra vita sono i nostri genitori, se la famiglia non c’è, o si frantuma, quel Dio, quella fede, diventa il mezzo con cui possiamo misurare il nostro dolore.
Bisogna per forza lasciare la propria famiglia, per scoprire chi siamo.

Lei è stato giudicato per aver lasciato la sua ex moglie e suo figlio Julian, ne ha sofferto?
Loro hanno sofferto di più.
Vede, con loro ho ripetuto l’unico copione che avevo appreso durante l’infanzia, li ho abbandonati come i miei genitori avevano fatto con me.
Non avevo risolto il mio dolore, non avevo compreso il mio vuoto, e malgrado fosse già stato tutto scritto, non ho saputo recitare la parte del bravo padre, o del marito fedele nella buona e nella cattiva sorte, altri ci sarebbero riusciti.
Raramente le persone sono risolte quando fondano le famiglie, per questo la società è profondamente malata.

Con Yoko adesso ha una famiglia felice?
A Yoko non importava niente del “fenomeno Beatles”, del mio personaggio pubblico, le importava solo di sapere chi fosse John.
L’abbiamo scoperto insieme, e abbiamo avuto Sean.
Siamo una famiglia, e siamo felici.

Molti imputano a Yoko di aver distrutto i Beatles, come reagisce di fronte a queste affermazioni?
Alla gente non piace la guarigione, si sente più a suo agio con l’illusione.
Yoko ha solo svelato le dinamiche di una famiglia disfunzionale.
Anche i Beatles sono stati come Dio per me, ho dovuto lasciare anche loro per scoprire chi fossi.

“I was the walrus, but now I’m John”?
Già.

Paragona i Beatles a una famiglia disfunzionale?
Un gruppo diventa un groviglio, esattamente come una famiglia, e tutti così attorcigliati per anni, si finisce per perdere il capo e la coda del filo.
Ho dovuto allontanarmi dal concetto “Beatles”, mettere in discussione la fede che avevo, per scavare, e vedere cos’altro c’era sotto.

Per questo alla fine della canzone dice: “non credo nei Beatles”?
Si finisce per credere ciecamente in alcune idee, la cecità non ci consente di vedere il resto.

Cosa c’era dopo i Beatles?
Io, la mia musica, la mia indipendenza artistica, Yoko.

Sente di essere riuscito, come individuo, a emanciparsi come desiderava?
Si, anche se resto una persona emotivamente dipendente.

Nelle relazioni?
La mia tendenza è quella di sviluppare dipendenze affettive.

Una tendenza che attribuisce alle mancanze del suo passato?
Si, certo.

Da cosa si sente dipendente John Lennon?
Dall’amore che provo per Yoko, ad esempio.

Si sente dominato dall’amore o da Yoko?
Sono la stessa cosa.

Si sente un uomo vulnerabile?
Si, ma la mia vulnerabilità è diventata una scelta consapevole.

Cosa significa?
Che la conosco, ne ho il domino, e non ne sono più vittima.

Si guarisce mai completamente?
Se aggiusti un vaso che si è rotto, e metti della colla tra i due pezzi, può anche darsi che gli altri non se ne accorgano mai che quel vaso era rotto, ma tu ci farai sempre caso.

Cosa le ha dato Yoko che nessun’altro le aveva dato prima?
La colla.
(Sorride n.d.r.)
Con lei ho smesso di avere paura.

Di cosa aveva paura?
Di essere abbandonato, di non essere amato, compreso.

Non ha più paura?
Ora so chi sono.
Quando sai chi sei, diventi più forte.
È questo essere liberi, non crede?

Con cosa misura oggi il suo dolore?
Sto vivendo gli anni migliori della mia vita.

Se potesse cambiare qualcosa, cosa cambierebbe?
Il mondo.

Ha paura d’invecchiare?
Mi farebbe più paura, svegliarmi domani mattina, e scoprire di avere di nuovo tredici anni.

Ha paura di morire?
Ne avevo molta paura tempo fa.

Quando?
Prima di aver capito chi diavolo fosse John Lennon.

Il mio tempo con lui era finito.
Anche il suo, ma non potevamo saperlo.
Raccolsi i miei appunti e mi congedai, promettendogli che avrei trascritto testualmente, solo quello che ci eravamo detti.

˜

L’8 Dicembre del 1980, John Lennon verrà raggiunto alle spalle da quattro colpi di pistola, davanti all’ingresso del Dakota Building.
Stava tornando a casa con Yoko.

Alla fine,
a me sembra proprio,
che la vita di alcuni,
sia lo struggente eroico tentativo,
di fare ritorno a casa.